miércoles, 24 de julio de 2019

Una visión de Camilleri un poco peculiar. Después de leerlo y traducirlo con detalle, no sé si el Camilleri que yo he leído se reconoceria en el retrato de Saviano. Me queda una duda ¿y si el Camilleri-literatura que yo he leído no tuvo nada que ver con el Camlleri mediático-intelectual que conoció Saviano? Creo que me quedaré con la versión literaria y dejo en el olvido la versión esserci: estar ahí. Para mí Camilleri y Sciascia no están en contradicción ni son comparables. Hay que explorar el mundo de ambos para tener un panorama más claro y veraz de la realidad mafiosa. Los percibo como dos genios complementarios, como dos hemisferios diversos del mismo cerebro siciliano. Y no hace falta criticar al uno para engrandecer al otro. Basta con comprender a ambos disfrutarlos sin prejuicios, ya que admiramos tanto la libertad, y maravillarse de su prosa magistral como de su amor profundo por la misma tierra







Roberto Saviano: "Ciao Camilleri, Maestro di libertà"

Roberto Saviano: "Ciao Camilleri, Maestro di libertà"
Non tutti gli scrittori sono intellettuali, non tutti gli intellettuali sono scrittori Andrea Camilleri era entrambe le cose: ha saputo sempre scegliere da che parte stare e ha guardato al successo con il distacco del saggio: "Ti dà solo un po' più di serenità per lavorare"





Le parole che dicono la verità hanno una vibrazione diversa da tutte le altre. Così scrive Andrea Camilleri in uno dei suoi Montalbano. C'è differenza tra scrittore e intellettuale, non tutti gli scrittori sono degli intellettuali e non tutti gli intellettuali sono scrittori. Camilleri è stato un intellettuale capace di esporsi sempre, avrebbe potuto trincerarsi dietro la neutralità tipica dell'artista, che risponde alla domanda dell'impegno pubblico dicendo solo "parlano le mie opere, non devo aggiungere altro " . Una scelta per alcuni nobile, certamente legittima, ma che per quanto mi riguarda è ascrivibile ai paraculi, ai comodi, agli equidistanti.

Camilleri non l'ha mai voluta fare, il suo percorso è stato quello tipico degli intellettuali della sua generazione: fascinazione per il fascismo, repellenza per la violenza del regime mussoliniano, poi la guerra, il comunismo come speranza, la cecità sui regimi, la disillusione e poi una svolta riformista e democratica. Ma Camilleri non voleva solo intrattenere, non voleva viaggiare leggero.

Ha vissuto una vita in Rai, quella Rai che era uno Stato nello Stato, una Rai ricca, dove potevi attardarti a lavorare più di un anno su un documentario che andava in onda per un'ora in un pomeriggio d'estate. Una Rai, insomma, dove potevi ancora ragionare ma in cui era quasi naturale crearsi un carattere addomesticato. Ecco, Camilleri non si è mai addomesticato. Diventò celebre in un momento della vita in cui era difficile che l'invidia, verso di lui o di lui per gli altri, lo aggredisse. Nella ormai sacra tripartizione simile alle tre età di Giorgione, che Alberto Arbasino fa del percorso pubblico di qualsiasi uomo italiano - " In Italia c'è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di bella promessa a quella di solito stronzo. Soltanto a pochi fortunati l'età concede poi di accedere alla dignità di venerato maestro " - Camilleri era riuscito a entrare sulla scena pubblica da venerato maestro senza passare per la lunga battaglia del "solito stronzo".

L'Italia intellettuale è un Paese fondato sull'invidia: certamente accade ovunque nel mondo, l'invidia è sentimento umano, ma in un Paese dove il mercato è minuscolo, l'influenza internazionale della lingua è minima, anche un'uscita televisiva o persino una piccola pubblicazione possono generare invidia. Camilleri era immune dal riceverla e dal provarla e questo lo rendeva un uomo capace di accogliere. Accogliere il rispetto e la benevolenza che riusciva a restituire al pubblico come padre benevolo, severo analista che tramite la sintesi della sua fabula indicava i pericoli, segnalava le contraddizioni, dava carezze. Il successo è una caratteristica erotica, è potenza più che realizzazione: potenza di conquista, potenza di ricchezza, ma questa potenza è più spesso vagheggiata nella testa di chi non la ha.

Andrea Camilleri ha avuto successo da uomo maturo, in una fase della vita in cui in genere le persone si fermano a tirare i conti, a misurare quello che hanno realizzato fino ad allora, e questo gli ha come moltiplicato l'esistenza. Spesso il successo arriva a minare il proprio sapere, a mettere in difficoltà, perché sotto osservazione e sotto stress anche la più illuminante delle idee rischia di perdere smalto. Questo non è accaduto ad Andrea Camilleri. Ed è anche per questa ragione che nella sua ultima evoluzione intellettuale diventa Tiresia, il saggio cieco cantore che l'Italia attendeva. Ogni sua apparizione televisiva, ogni suo singolo aneddoto era letteratura, inutile definirla in altro modo. Persino il tono della voce era letteratura.

Andrea Camilleri, nel suo impegno da siciliano, pone un rapporto nuovo, insolito con il tema mafia e Cosa nostra. Mal sopporta la suddivisione dell'umanità che Sciascia fa nel Giorno della civetta - in uomini, mezz'uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà - perché quella catalogazione, in cui ci si riconosce, nel libro la fa un mafioso ed è una catalogazione criminale della vita degli uomini, eppure viene citata come se fosse una nuova affascinante fenomenologia umana. La riduzione del mondo a un modello mafioso non lo seduceva, il mondo spiegato attraverso la lente criminale alla Don Vito Corleone gli faceva dispetto. Camilleri sino alla fine ha scelto da che parte stare, non temendo di perdere copie o simpatie, ma rimanendo autentico. L'autenticità non sta nel riuscire a scegliere sempre la parte giusta, ma nel sapere che scegliere significa sempre esserci, non arretrare. Chi non prende parte si bea del non avere sbagliato, ma di chi non sbaglia si ha la certezza che mai avrà fatto bene. Andrea Camilleri è sempre stato in grado di esserci, con coraggio, e questa è la grande generosità che ha avuto per i suoi lettori. La sua sterminata produzione narrativa ha come pilastro questa volontà.

Camilleri ha saputo stare nella contraddizione: il successo, che come lui stesso disse "ti assicura solo un po' più di serenità per scrivere " , non lo rese prudente; non si sentì mai sottoposto a riverenze politiche, non si sentì mai di dover carezzare padroni, di dover compiacere i mondi in cui si muove necessariamente un intellettuale, mostrando quindi l'assoluta possibilità della libertà. Ecco chi è stato Andrea Camilleri: non solo un uomo libero, ma un uomo che ha reso possibile, concreta, realizzabile la scelta di essere liberi. Sempre. Addio Maestro.

Traducción 


Las palabras que dicen la verdad tienen una vibración distinta de las otras. Así escribe Andrea Camilleri en uno de sus Montalbano. Hay diferencia entre escritor e intelectual, no todos los escritores son intelectuales no todos los intelectuales son escritores. Camilleri ha sido un intelectual capaz de arriesgarse siempre, habría podido atrincherarse  tras la típica imparcialidad del artista que responde a la exigencia del oficio público, diciendo "solo hablan mis obras, no debo añadir nada más". Una elección noble y ciertamente legítima para algunos pero por lo que a mí atañe, más propia de los culoquietos, cómodos y equidistantes.
Camilleri nunca quiso hacer eso. Su camino fue el típico de los intelectuales de su generación:efascinación por el fascismo, repulsión por la violencia mussoliniana, después la guerra, el comunismo como esperanza, la ceguera de los regímenes, la desilusión y la del retorno reformista y democrático. Pero Camilleri no quería entretener, no quería viajer rápido.
Ha vivido una vida en la RAI, aquella RAI que era un Estado dentro del Estado, una RAI rica, donde podías ir a regodearte en trabajar más de un año en un documental que estaba en onda durante una hora en una tarde de verano. Una RAI, resumiendo, donde aun podías reflexionar pero en la que era casi natural crearse un perfil domesticado. Pero, Camilleri no se domesticó nunca. Se hizo célebre  en un momento de la vida en que era difícil que la envidia hacia él o de él hacia los otros, lo atacase. En el ya  sagrado tripartito atribuido a las tres edades de Giorgione, que Alberto Arbasino hace de la trayectoria pública de cualquier hombre italiano- "En Italia hay un momento embrujado en el que se pasa de la categoría de bella promesa a la de un mierda conocido. Solo a pocos  afortunados la edad les concede acceder después a la dignidad de venerado maestro" -Camilleri consiguió entrar en la escena pública como venerado maestro sin pasar por la larga batalla del "mierda conocido".

La Italia intelectual es un país fundado sobre la envidia, ciertamente sucede en todo el mundo, la envidia es un sentimiento humano, pero en un país donde el mercado es minúsculo, la influencia internacional de la lengua es mínima, y por ello una salida en tv o una pequeña publicación pueden generar envidia. Camilleri no entraba en ese juego, era tan inmune a recibir envidia como a proyectarla y esto lo convertía en un hombre capaz de acoger. Acoger el respeto y la benevolencia que conseguía restituir al público como padre benévolo, severo analista que mediante la síntesis de su fábula indicaba los peligros, señalaba las contradicciones, daba caricias. El éxito es una característica erótica, es poderío más que realización: poder de conquista, poder de riqueza, pero ese poder frecuentemente solo es un regodeo ilusorio en la cabeza de quienes no lo tienen. 

Andrea Camilleri ha llegado al éxito ya como hombre maduro y en una época de la vida en que las personas se paran a echar cuentas y a valorar lo que han realizado en el tiempo y eso es como si les multiplicase la existencia. Frecuentemente el éxito pude llegar a minar el propio saber y a poner a las personas en dificultades porque bajo la observación y el estrés hasta la más luminosa idea puede perder su barniz. Esto no le ha pasado a Andrea Camilleri. Y es por esa razón por la que en su última evolución se ha convertido en Tiresias, el cantor ciego y sabio que Italia esperaba. Cada aparición suya en la pantalla, cada anécdota era literatura, es inútil definirlo de otro modo. Hasta el tono de su voz era literatura. 

Andrea Camilleri en su empeño siciliano instaura un nueva relación insólita con el tema  mafia y Cosa Nostra. Soporta mal la subdivisión de la humanidad que Sciascia hace en Il giorno de la civetta -en hombres, medio-hombres, hombrecillos, gilipollas y bocazas- porque esa catalogación la hace un mafioso y es una catalogación criminal de la vida de los hombres, que se cita como una fascinante fenomenología humana. La reducción del mundo a un modelo mafioso no lo seducía, el mundo explicado a través de la lente criminal a lo Don Vito Corleone le parecía un desprecio. Camilleri hasta el fin eligió de qué lado quería estar, no temiendo perder parejas ni simpatías, sino siendo auténtico. La autenticidad no consiste en elegir siempre la parte justa sino en estar ahí y no claudicar. Quien no se implica se alegra de no haberse equivocado, pero acerca de quien no se equivoca se tiene la certeza de que nunca ha hecho nada bien. Andrea Camilleri siempre ha tenido la actitud  de estar ahí, con coraje, y esa es la generosidad que ha tenido con sus lectores. Su extensa producción narrativa, tiene como cimientos esa voluntad. 

Camilleri ha sabido estar en la contradicción: el éxito como el mismo dice "te asegura solo un poco más de serenidad para escribir" no lo vuelve prudente; nunca se sintió inclinado a reverenciar políticas, nunca se sintió atraído  por pelotear a los jefes, ni por complacer a los mundos en que se mueve necesariamente un intelectual, mostrando así la absoluta posibilidad de la libertad. Esto es lo que ha sido Andrea Camilleri: no solo un hombre libre, sino además un hombre que ha hecho posible, concreta y realizable la elección de ser libres. Siempre. Adiós Maestro. 

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Me parece que este momento es óptimo para repasar vida y literatura europea  del siglo XX-XXI. Para más información y criterio veáse y conózcase al otro gran campeón contemporáneo de la narrativa pedagógica made in Sicily, que en ella nació y a cuyo servicio vivió y trabajó hasta su muerte, como maestro de escuela, escritor y por añadidura con un fuerte y decidido compromiso político y  social, arriesgando hasta su seguridad personal, sin miedo a la misma mafia con la que convivía a la fuerza, en su propio territorio. Ah, un detalle que aportar a la crítica de Saviano sobre el lenguaje poco elevado y nada ejemplar de los mafiosos, que Sciascia decribe tal cual: los relatos del profesor de Racalmuto no son solo descriptivos y asépticos, sino que transcriben exactamente, con prosa muy concreta, se diría que visual, cinematográfica, la realidad  miserable en la que se mueven los personajes del lumpen sículo Cosa Nostra fashion; ese  vocabulario es el scanner de la ausencia de alma y del superávit de prejuicos convertidos en sistema, como la "mafiedad" contagiosa. Esas clasificaciones (uomini, ominicchi, mezz'uomini, pigliainculo e quaquaracuà) no son cosa del autor para "castigar" y humillar con desprecio a los "malos" de la película, sino la muestra directa del acervo lingüístico en la mentalidad y el "orden" de una sociedad inculta, cómplice, tópica y anclada en prejuicios, 'premios' por vender el alma al diablo del poder y el dinero,  condenas y veredictos milenarios, marcada y castigada por las diferencias de clase social, por el miedo, el odio, la rivalidad, el poder del más fuerte  y el desprecio de unos por otros si no se es de la misma cuerda, y más aun en el tiempo en que Sciascia vivía  y escribía lo vivido. Camilleri describe desde la RAI romana, con preciosas y magníficas líneas los pasajes que recuerda de su querida tierra, muchos de ellos pasados por la exquisita mirada-metáfora catalana de Montalbano. Sciacia, por su parte, retrata con crudeza, con espartana y descarnada veracidad lo que ve cada día en su pueblo. Camilleri desde Roma c'era (senza dubbio). Sciascia además, c'era en medio del conflicto in situ, no tenía necesidad de inventarlo, simplemente y sin retoques estéticos lo dejaba hablar y presentarse por sí mismo ante su cámara implacable. Quizá por eso le dieron el Nobel de Literatura. A Camilleri el mejor Nobel se lo damos también, y como a Sciacia, sus lectores por todo el mundo. Ambos fueron, sobre todo, espíritus libres y conciencias luminosas. Nunca se vendieron ni se dejaron comprar. Seguramente por ello son aun más grandes que por lo que escribieron. No hay productos mejores ni más brillantes que sus creadores. Sin un magnífico genio y sentido lúcido, ético y humanista, al que el éxito y la publicdad es lo que menos le preocupa, las obras solo pueden ser mediocridades. Y no es el caso de ni de Camilleri ni de Sciascia. Que la luz que nos regalaron ambos , sobre todo,  con sus vidas, sea su país eterno. Verba volant, sed facta manent. Si la palabra no se hace carne y habita entre nosotros, no tiene más valor que una hoja seca que el viento arrastra hacia ningún lugar, hasta que el tiempo la reduce a la nada.


Leonardo Sciascia

(Racalmuto, 1921-Palermo, 1989) Narrador y político italiano que defendió en sus novelas y ensayos la moral de la razón frente a la desintegración y el caos propugnados por la mafia o el terrorismo italianos.
No desdeñó ni la opinión (como puso de manifiesto en El caso Aldo Moro, donde reflexionaba sobre el secuestro del presidente de la Democracia Cristiana) ni la participación política directa: fue diputado del partido Radical entre 1979 y 1983. Su posición de intelectual comprometido no tuvo una representación literaria torpe o dogmática. Por el contrario, utilizó una escritura de tipo clásico para iluminar con precisión extrema ciertas zonas de la realidad.
Las parroquias de Regalpetra (1956), vinculada a la tradición del neorrealismo y de la literatura meridional, fue la primera novela que despertó un interés nacional. Al igual que los relatos de Los tíos de Sicilia (1958 y 1961) eran documentos ficticios de un imaginario rincón de Sicilia. Como subrayó más tarde, estos textos fundaron una indagación sobre "la historia de una progresiva desaparición de la razón y la historia de aquellos que fueron convulsionados y aplastados por ese ocaso del pensamiento".
Sciascia utilizó las formas de la novela negra para desentrañar el asesinato del sindicalista comunista Miraglia en El día de la lechuza (1961), primer relato donde la mafia se representa como una organización socio-económica dentro del Estado, y en A cada cual lo lo suyo (1966). Proceso y enjuiciamiento de una realidad que le llevó a decir: "Odio, detesto Sicilia en la misma medida que la amo". La indagación histórica y las falsificaciones e imposturas del pasado dan forma a El consejo de Egipto (1963) y también a Muerte del inquisidor (1964), personaje que reaparece, junto con los horrores del sistema de castigos, en los relatos ensayísticos de La cuerda de los locos (1970).

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